lunedì 2 novembre 2009

...


That civilisation may not sink
Its great battle lost,
Quiet the dog, tether the pony
To a distant post.

Our master Caesar is in the tent
Where the maps are spread
His eyes fixed upon nothing
His hand under his head.

Like a long-legged fly upon the stream
His mind moves upon silence.

from Long-Legged Fly, W.B. Yeats

Questo è la prima parte di una poesia che esprime molto bene l'idea del 'piccolo silenzio quotidiano' e come questo stesso silenzio può essere il terreno dove crescono cose importanti, fondamentali (anche fin troppo importanti per noi mortali!). Ho scelto questa parte perchè qua Yeats echeggia il silenzio uditivo con quello visuale, his eyes fixed upon nothing, rinforzando l'impressione (ingannevole) di una mancanza, una nullità.
La parte ripetuta, like a long-legged fly..., richiama sia il flusso del tempo che quello della coscienza, quest'ultimo portato alla sua espressione più nota da Joyce, un altro irlandese. E qua vorrei chiedere: se siamo d'accordo che almeno il flusso del tempo è silenzioso, possiamo dire la stessa cosa a proposito del flusso della coscienza? Sarebbe costituito da 'parole silenti'? Pare una contraddizione. Il pensiero stesso non è un tipo di rumore, o meglio, un tipo di ascolto? Spesso quello spazio che chiamiamo 'mente' mi sembra non altro che una caverna echeggiante dove le parole che abbiamo inghiottito, come Firmino, vanno e vengono come la rena quando a turbo spira.


1 commento:

  1. a proposito di grotte (dove "incubavano" i sogni e le rivelazioni) o calotte, che ospitano il cicaleccio ininterrotto dei nostri pensieri, ingombranti, o invece delicati e persistenti come una scia, silenziosi come un riflesso d'ombra o frastornanti come l'inferno d'incubo dei vivi o quasi vivi...

    Questo che a notte balugina
    nella calotta del mio pensiero,
    traccia madreperlacea di lumaca
    o smeriglio di vetro calpestato,
    non è lume di chiesa o d'officina
    che alimenti
    chierico rosso, o nero.
    Solo quest'iride posso
    lasciarti a testimonianza
    d'una fede che fu combattuta,
    d'una speranza che bruciò più lenta
    di un duro ceppo nel focolare.
    Conservane la cipria nello specchietto
    quando spenta ogni lampada
    la sardana si farà infernale
    e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
    del Tamigi, dell'Hudson, della Senna
    scuotendo l'ali di bitume semi-
    mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora.
    Non è un'eredità, un portafortuna
    che può reggere all'urto dei monsoni
    sul fil di ragno della memoria,
    ma una storia non dura che nella cenere
    e persistenza è solo l'estinzione.
    Giusto era il segno: chi l'ha ravvisato
    non può fallire nel ritrovarti.
    Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio
    non era fuga, l'umiltà non era
    vile, il tenue bagliore strofinato
    laggiù non era quello di un fiammifero.
    Eugenio Montale, Piccolo testamento

    RispondiElimina