seconda maratona del silenzio

. martedì 26 aprile 2011
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Dopo il successo della 1° Maratona del silenzio a Milano, rilancia Torino, al Circolo dei lettori, sabato 30 aprile, con una no stop
-Per condividere con filosofi, musicisti, psicologi, sociologi, scrittori il significato del silenzio nella propria vita, il senso esistenziale, civile, educativo
-Per domandarsi come, nelle nostre metropoli, si possano valorizzare i luoghi naturali del silenzio e conquistarne altri
-Per prendersi una pausa dalla frenesia, dai rumori, dai soliti ritmi
-Per promuovere una cultura e un'ecologia del silenzio

8 ore d’incontri e dibattiti sull’arte del tacere: una “staffetta” per festeggiare la nascita dell’Accademia del silenzio
Dalle 10 alle 18, si avvicenderanno con interventi di 15 minuti ciascuno:
Duccio Demetrio e Nicoletta Polla-Mattiot, ideatori Accademia del silenzio;
Aida Ribero, saggista;
Luisa Ricaldone, docente di Letteratura italiana contemporanea;
Maria Chiara Giorda, storica delle religioni;
Sara Hejazi, docente di antropologia dell’Islam;
Luciano Manicardi, Comunità monastica di Bose;
Giampiero Comolli, scrittore;
Emanuele Ferrari, musicologo;
Daniela Finocchi, ideatrice Concorso Lingua Madre;
Mario Vergani, filosofo;
Hamsananda Giri Svamini, monaca induista;
Giampiero Quaglino, psicologo della formazione;
Piero Tartamella, Cascina Macondo;
Elena Seishin Viviani, monaca buddhista;
Rita Hokai Piana, Comitato Interfedi città di Torino;
Monica Mantelli, direttore artistico Etnotango Festival

Siete tutti invitati a partecipare e a rispondere a queste domande: che significato ha per voi il silenzio? E' una necessità, un lusso, un vuoto da riempire? Quale spazio occupa nella vostra vita? Le risposte vanno inviate al Circolo dei lettori (info@circololettori.it): le vostre riflessioni personali, i vostri messaggi saranno letti nel corso della “maratona silente” di sabato 30 aprile.

silenzi d'artista

. giovedì 14 aprile 2011
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In questi giorni a Milano, oltre alla "montagna di sale", ci sono ben due mostre di Mimmo Paladino.
Una parola che ricorre frequentemente nei titoli delle sue opere è silenzio.
Eccone due

Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro, 1977,


Silenzioso (l'angelo), 1977


L'artista sostiene: "L'arte non è cosa di superficie, non è cosa sociologica, non è tempesta poetica. L'arte è un lento procedere intorno al linguaggio dei segni".

gli scrittori e il silenzio abitato delle case

. mercoledì 13 aprile 2011
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C'è una bellissima descrizione di Antonia Byatt: "Nel 1947 Matisse dipingeva "Il silenzio abitato delle case"...C'è un silenzio abitato al 49 di Alma Road, nel senso che non si sentono voci, ma ci sono vari suoni, alcuni anche penetranti e aspri, che un orecchio distratto potrebbe interpretare come il rumore di fondo di una sorta di silenzio...C'è il ronzare agitato della lavatrice, anche l'asciugabiancheria è in moto...nella stanza che dà sulla strada la televisione canticchia tra sé".

Curioso e opposto punto di vista è appena stato scritto da un altro autore, Ildefonso Falcones:
"...Da quando sono riuscito a pubblicare il mio primo romanzo, La cattedrale del mare, ho deciso di dedicare più tempo alla scrittura. Se non ho in agenda un processo o qualche consiglio, mi ci dedico la mattina, senza trascurare, questo sì, la posta o le telefonate che mi passa la mia segretaria. Ma se sono riuscito a conciliare entrambe le attività professionali, quella di scrittore e di avvocato, non posso dire altrettanto della letteratura e degli impegni domestici. Perché in una casa con quattro bambini non esiste elettrodomestico che faccia onore alla pubblicità che ce lo ha venduto: il più silenzioso sul mercato! Dopo mesi di condanna ai lavori forzati, quella lavatrice, che secondo il rappresentante di turno era stra-stra-stra-silenziosa, salta per casa al ritmo frenetico di un tamburo impazzito, e la lavastoviglie, più che lavarli, fa sì che i piatti ingaggino tra loro un duello mortale. Tuttavia, riesco almeno in parte a combattere quei due elettrodomestici, che lavorano poco lontano dal mio studio, grazie alle cuffie e alla musica. Quello a cui ho dovuto inginocchiarmi in segno di resa è, senza dubbio, l’aspirapolvere: con lui non ci riesco, a meno di aumentare il volume di Freddy Mercury fino a limiti inimmaginabili.

Ho pregato mia moglie di dire alla donna di servizio che eviti di usarlo mentre lavoro, e ce l’ho fatta... per qualche giorno, perché a quanto pare la pulizia di casa a orari inflessibili è più importante dei miei romanzi: in breve quel cavallo da guerra ha ricominciato a ruggire imbizzarrito, scagliandosi senza pietà contro il battiscopa e le gambe dei mobili. L’ho ridetto a mia moglie. Mi ha risposto che lei aveva già dato disposizione. Ci siamo guardati. Abbiamo affidato ai gesti le nostre intenzioni: io devo aver fatto qualche smorfia, lei ha aperto le mani, e la questione è rimasta in sospeso. Dichiarare guerra alla donna di servizio? I nostri volti riflettevano la stessa inquietudine: una crisi domestica avrebbe avuto conseguenze peggiori che non perdere qualche minuto di lavoro al giorno su un romanzo. E siccome ci siamo trovati in perfetto accordo, per continuare a scrivere aumento il volume della musica, mettendo a repentaglio nientemeno che l’integrità del mio udito; mi rifiuto di accettare che un aspirapolvere detti i miei tempi".
(pubblicato sul Corriere della sera, 06 aprile 2011)

suoni e rumori: silenzio assente

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IL «PAESAGGIO SONORO» DELLA MODERNITÀ

Sopravviverebbe Marcel Proust al baccano dei cellulari, della tivù, della radio, dei clacson, delle sirene? Mah… Per attutire il chiasso che saliva dalla strada di allora, l’autore de La recherche aveva fatto tappezzare di sughero una camera di casa. Eppure, pare, gli sembrava tutto ancora fastidioso.
Quella Parigi a cavallo tra Ottocento e Novecento, in realtà, per quanto possiamo immaginarcela quieta rispetto alle metropoli d’oggi, non doveva esser poi così silenziosa. Ce lo dice un reportage del 1879 di Edmondo De Amicis: «Non c’è un momento di riposo, né per l’orecchio, né per l’occhio (...) Le carrozze passano a sei di fronte, a cinquanta di fila, a grandi gruppi, a masse fitte e serrate che si sparpagliano qua e là verso le vie laterali, e par che escano le une dalle altre, come razzi, levando un rumore cupo e monotono, come d’un solo enorme treno di strada ferrata che passi senza fine. Allora tutta la vita gaia di Parigi si riversa là da tutte le strade vicine, dalle gallerie, dalle piazze; arrivano e si scaricano i cento omnibus del Trocadero; le carrozze e la folla a piedi che viene dagli scali della Senna; flutti di gente che attraversa la strada di corsa arrischiando le ossa…».

La stessa Milano, ai contemporanei, doveva sembrare caotica. Al punto che nel 1901, per rispetto di Verdi agonizzante al Grand Hotel, viene proibito ai conduttori di tram che passano di suonare il clacson davanti all’albergo. «Quasi a voler risparmiare al grande genio morente, nato e vissuto nei silenzi dell’Ottocento, il fragore di una nuova epoca che si apre».

Lo racconta Stefano Pivato nel libro Il secolo del rumore - Il paesaggio sonoro nel Novecento (il Mulino, pagine 192, €14). Rettore a Urbino, dove insegna storia contemporanea, Pivato non è nuovo a libri dal taglio «eccentrico». Basti ricordare Vuoti di memoria. Usi e abusi della storia nella vita pubblica italiana. O La bicicletta e il sol dell’Avvenire. Tempo libero e sport nel socialismo della Belle Epoque. O ancora Il nome e la storia. Onomastica e religioni politiche nell’Italia contemporanea e I terzini della borghesia - Il gioco del pallone nell’Italia dell’Ottocento. Libri seri, arricchiti da un gusto raro per l’aneddotica, il dettaglio, la curiosità.



«L’aeroporto abbranca l’aeroplano» di Barbara (1938). Barbara era lo pseudonimo di Olga Biglieri, la pittrice futurista prediletta da Filippo Tommaso Marinetti spentasi nel 2002 a 86 anni.«Se fossimo trasportati un secolo addietro attraverso la macchina del tempo di "Ritorno al futuro" », scrive Pivato, «saremmo probabilmente assordati dal silenzio». Mica per altro l’idea del libro gli è venuta da un cd assai particolare: «Un gadget richiestissimo da un gruppo di fan della Ferrari. Si trattava di una ventina di brani che riproducevano i suoni (così venivano definiti) dei più gloriosi modelli della "rossa" di Maranello. Rimasi allibito di fronte al fatto che si potesse ascoltare il rombo di un motore—tentando di indovinarne modello, numero di giri, potenza e anno del debutto—con lo stesso religioso silenzio col quale si ascolta un brano di Mozart».
Rileggere la descrizione di Vasco Pratolini di una casa borghese d’un tempo, tocca il cuore: «Vi si spengeva lo stridere delle cicale, l’eco dei passi, il ronzio dei mosconi. Istintivamente camminavo in punta di piedi. (...) Di vivo v’era soltanto il tic-tac dell’orologio a muro che invece di rompere sottolineava il silenzio». Per secoli e secoli, spiega Pivato, la vita dell’uomo si è svolta in silenzio. La stessa pittura, si sarebbe lamentato il futurista Carlo Carrà, era stata «l’arte del silenzio. I pittori dell’antichità, del Rinascimento, del Seicento e del Settecento non intuirono mai la possibilità di rendere pittoricamente i suoni, i rumori e gli odori…».

L’assenza di rumore era rotta soltanto dal clangore delle battaglie allo scoppio delle guerre. Dal ritmo di certe botteghe artigiane come quelle dei calderai descritti nel 1700 da Bernardino Ramazzini: «Essi per tutto il giorno si dedicano a martellare il rame per ottenerne la duttilità (…) e quindi di lì si leva un frastuono smisurato, tanto che solo gli operai vi possiedono botteghe e dimore, poiché tutti evitano quel luogo così molesto». Dalle urla dei tifosi del gioco del pallone, da non confondersi col calcio, descritti da Wolfgang Goethe. Dagli strepiti dei tiratardi come quelli che a Firenze impedivano di dormire a John Ruskin, perseguitato dal «frangersi perpetuo di fragori mostruosi e disumani, urla e schiamazzi di esseri osceni fino a notte fonda». Per non dire dei «rimbombi di campane al mattino che si scontrano in impietose dissonanze da un campanile all’altro… ».

Non era l’unico, lo scrittore inglese, a lagnarsene. Anzi, ricorda Pivato, «la "guerra delle campane" ha costituito, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, una delle più accese diatribe tra il fronte clericale e quello anticlericale». Ricordate il contro-campanile voluto da Peppone per vendicarsi di tutte le volte che don Camillo aveva disturbato i suoi comizi? «Finirà il monopolio campanario clericale!». Non occorreva essere anticlericali come i rivoluzionari francesi o i bolscevichi (che arrivarono a proibire gli scampanii perché lasciassero il posto «al rumore delle fabbriche e ai fischi delle industrie») per trovare insopportabili certe esagerazioni.

Lo dicono certi ricorsi al giudice d’epoca giolittiana dove si lamentavano «864 colpi nelle 24 ore, annunciando l’ora, ogni quarto d’ora con un tocco di preavviso». Un baccano infernale, per chi viveva vicino al campanile. Come Giovanni Pascoli che dopo aver esordito cantando «i cari suoni delle campane » si avvelenò il sangue per l’abuso di «ondataccie» sonore che ne faceva il parroco di Barga e non ebbe pace finché non ottenne dal vescovo il trasferimento del prete spaccatimpani.

La svolta vera, però, ovvio, fu l’irruzione del motore. Prima delle locomotive (che venivano battezzate «Lampo», «Scintilla», «Fulmine», «Procella»), poi delle automobili esaltate da Tommaso Marinetti per quei «grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo » e degli aerei cantati in «Uccidiamo il chiaro di luna»: «Avanti, pazzi, pazze, leoni, tigri, e pantere! Avanti, squadroni di flutti!».

E basta coi violini e i mandolini e le vecchie melodie musicali, invocava Luigi Russolo. Meglio un’orchestra di «intonarumori», un macchinario che riproduceva i suoni industriali: scoppiatori, stropicciatori, rombatori, sibilatori… La «prima» al Teatro Dal Verme di Milano, nel 1914, finì in una rissa. Di qua gli amanti della buona musica, di là i futuristi di Marinetti, Boccioni e Carrà. La cronaca del «Corriere», in ironico stile futurista senza articoli, fu una delizia: «Pugni. Carabinieri, delegati, poltrone sulla testa, urli, insolenze. Pubblico in piedi. Concerto continua. Pugni anche. Futuristi tratti palcoscenico dai carabinieri. (…) Urli, invettive, pugni. Piazza Cordusio altri pugni. Galleria nuovi pugni...».

Stefano Pivato
IL SECOLO DEL RUMORE
il Mulino
pag 192, 14 €

Dal Corriere della Sera, 4 aprile 2001

La noia che ci salva

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da repubblica di ieri:
-TERRORIZZATI dal vuoto, incapaci di ricordare il piacere sottile di contemplare il soffitto, gli adulti di oggi cercano di impedire a chi è arrivato dopo di loro — figli, studenti, nipoti e perfino colleghi più giovani — di annoiarsi, anche per pochi minuti. «Un grave errore — dice Duccio Demetrio, docente di filosofia dell’educazione a Milano Bicocca e inventore dei laboratori di otium meditativo lanciati con successo un anno fa a Torino Spiritualità — perché decretando che la noia è fuori moda ci priviamo di occasioni fondamentali. Guardare per aria, aspettare che il tempo passi, che le idee tornino in superficie e il nostro cervello si riempia dopo essersi svuotato». Per fare spazio là dove la quotidianità liberale-efficiente ha riempito ogni fessura, dunque, nascono corsi, accademie, seminari. E c’è perfino chi ricorre alla psicoanalisi per svuotare la mente. L’Accademia del silenzio promuove maratone — otto ore senza parole — e corsi estivi. «Abbiamo troppa paura della noia — sostiene Nicoletta Polla Mattiot, fondatrice dell’iniziativa antirumore — per questo spesso inzeppiamo le nostre vite di chiacchiere e frenesia per paura del vuoto.

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