dire e non dire

. venerdì 30 luglio 2010
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Una bella riflessione che arriva da un libro di Stefano Bolognini, sul silenzio fecondo e “maieutico”. Il titolo è già un capolavoro: Lo Zen e l’arte di non sapere cosa dire (Bollati Boringhieri). Scrive lo psicoanalista: «Non si sa che dire vuol dire che verrebbero in mente delle cose da dire, ma che si sente o si capisce che quelle cose lì non sono adeguate, non sono sufficienti, non bastano, non risolvono, non smuovono, non raggiungono, spesso non sfiorano nemmeno la complessità, la profondità, il senso di ciò che si è presentato sulla scena del discorso: tanto più se si tratta di un discorso condiviso, che dovrebbe funzionare significativamente per chi parla e per chi ascolta.
E allora ci si ferma, sull’orlo dell’abisso.
E non si dice.
(…)
Di solito, se si hanno la pazienza e l’umiltà di attendere – senza pretendere di saper già cosa dire, subito e comunque – le cose un po’ alla volta si collegano, si chiariscono, si combinano, si trasformano, assumono un’evidenza e un senso.
Allora, e solo allora, si sa che cosa dire.

una definizione

. martedì 13 luglio 2010
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ho letto a Pennabilli,da qualche parte, una definizione di Tonino Guerra, anche nel suol amato dialetto:
il silenzio è una bomba che ti scoppia nel cervello.

il paradosso del silenzio

. lunedì 5 luglio 2010
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Che cosa c'entra l'elogio della contraddizione con il silenzio? Leggo Salman Rushdie (il testo che presenterà il 10 luglio alla Milanesiana) e la sua difesa del paradosso è un richiamo al chiaroscuro, a quello spazio interstiziale fra bianco e nero, sì e no, dire e non dire, che il silenzio occupa dialetticamente e senza prendere spazio. Il silenzio è e non è, contemporaneamente buono e cattivo, vuoto o pieno, assenza e presenza, strumento, mezzo e fine, ma anche omissione volontaria, base di quel "nel pensier mi fingo" da cui nasce tutta la poesia e la letteratura.
Per questo mi piace riportare almeno qualche riga della riflessione di Rushdie:
La letteratura non ha mai perso di vista ciò che il nostro rissoso mondo cerca di costringerci a dimenticare. La letteratura si pasce della contraddizione, e nei romanzi e nelle poesie noi cantiamo la nostra complessità umana, la nostra capacità di essere, simultaneamente, sia sì che no, sia questo che quello, senza avvertire il minimo disagio. L'equivalente arabo dell'espressione "c'era una volta" è "kan ma kan" che tradotto significa: "Era così, non era così". Questo grande paradosso è alla base di tutte le opere di narrativa. La narrativa è esattamente quel luogo in cui le cose sono così e non sono così, in cui esistono mondi in cui crediamo profondamente pur sapendo che non esistono, non sono mai esistiti e mai esisteranno. E questa bella complicazione non è mai stata tanto importante quanto nella nostra epoca di eccessiva semplificazione"

poesia e silenzio

. venerdì 2 luglio 2010
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Grazie ad Alessandro Quasimodo e Alessandro Cei e al loro spettacolo "Potessero le mie mani sfogliare la luna", ho riascoltato (e riscoperto) un frammento teso fra dire e non dire

...e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perchè la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici,
sì che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

(La sera fiesolana, Gabriele D'Annunzio)

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