Riflessioni a margine di "Cento giorni sul comò" di Pino Tossici (ed. Book Salad)
di Nicoletta Polla-Mattiot
Difficile fare la recensione di una vita, perché di questo si tratta. Non di un romanzo dove è in gioco la coerenza della trama, la credibilità dei personaggi o la voce, quella capacità di inventare mondi e portartici a spasso. Quando il narratore coincide col narrato, leggere ha qualcosa di impudico e profondo, mette in contatto due anime con il solo filtro di un tempo differito. Lo stesso che chi racconta ha messo fra sé e la sua storia. Ricostruire a posteriori un percorso di quel che si è e si è diventati, è un lavoro di scavo, di bonifica e di generazione. Ri-generazione. Niente di più lontano dall'esibizionismo dell'emozione, dall'attitudine alla spettacolarizzazione del privato a cui ci hanno assuefatto anni di reality. La ricerca della verità, della propria verità su di sé, impone tempi che sconfessano i ritmi della rappresentazione, quell'affanno inesausto ad apparire che fa coincidere persona e maschera, in una traduzione piatta e letterale. Occorre darsi il tempo di perdersi, per ritrovarsi, di procedere a caso, per raggiungere una meta che sia una scoperta e non un programma. Perché "il silenzio diventi suono per sé e per gli altri" occorre mettersi in viaggio e scrivere usando tutta "la lentezza" e "la pazienza" della penna.
E' a questo lavoro autobiografico che ci richiama Pino Tossici, con un libro che è un regalo da farsi. Per varie ragioni. La prima è il sapore buono dell'autenticità e delle promesse mantenute. La seconda è l'ironia, che è qualità ben diversa dall'intrattenimento sagace. L'ironia appartiene o a chi ha molto sofferto o a chi è molto saggio (e spesso le due cose si tengono per mano), è il dono di chi sa che la vita è materia serissima e proprio per questo va trattata con delicatezza, avvicinata con la mano leggera dello sminatore: sono tante le cose che fanno male, i dolori che ci formano, ma anche deformano e a volte ci deflagrano dentro. Ma se li metti tutti in fila, i dolori e i fatti, le cause e gli effetti, li guardi, li riconosci e li abbandoni (senza tuttavia dimenticarli) finisce che dentro ci trovi pure la felicità. Così la terza ragione per leggere il libro di Pino Tossici è tutta in questa frase che fa anche da presentazione in copertina: "Alla fine della giostra mi resta comunque una certezza: la felicità esiste, o almeno a me sembra di averla incontrata. E se invece non esiste, se è stato solo un sogno o un miraggio, allora vuol dire che scrivendo si può essere felici anche senza". Non un favolistico happy end, ma una possibilità, aperta a chi legge, rilanciata come un testimone che ogni lettore può raccogliere: ritrovare la strada di casa, la propria, e riconoscersi. Per questo, chiudi il libro di Pino Tossici, e cominci il tuo di viaggio. E questa è la quarta e la migliore ragione per leggerlo.
E se non puoi la vita che desideri/
cerca almeno questo/
per quanto sta in te: non sciuparla/
nel troppo commercio con la gente/
con troppe parole in un viavai frenetico./
Non sciuparla portandola in giro/
in balìa del quotidiano/
gioco balordo degli incontri/
e degli inviti,/
fino a farne una stucchevole estranea.
Constantinos Kavafis