Voglio, mi piace, sogno un mondo fatto di allegria. Amo essere allegra, sono Nanà, Herrety, Kessiwaah e molto altro. Sono il Ghana, sono di Kumasi, sono i miei quarant’anni sono i miei cinque figli. Adoro la musica, la vita, il canto.
Bambini per me, alberi e foreste, libertà di essere.
Sono i colori della mia bandiera, sono una Ashanti.
Il mio stool è bellissimo, è fatto con legno di un albero, mi ci sono seduta diverse volte, crescendo. E’ un sedile bianco e sacro. Il Ghana… Il Ghana è per me la mamma, la terra che accoglie, che nutre. E’ una terra ricca e fertile. E’ una terra magica. Si respira la natura, e le cose belle che Dio ha creato. Alberi, uomini, animali tutti insieme, caffè, mango, ferro.
Di Herrety Kessiwaah
Terzo premio III edizione del Concorso Lingua Madre
Tratto da Lingua Madre Duemilaotto - Racconti di donne straniere in Italia
NANA'
Etichette: donne, libertà, madre, natura, silenzio, terraLa scoperta: il cervello e i neuroni del silenzio
Etichette: cervello, neuroni, pause, silenzio, suonoLa notizia è davvero interessante. La pubblica la rivista scientifica Neuron e la riprende la Repubblica: nel nostro cervello esisterebbe un circuito deputato a trasportare il segnale del silenzio dall'orecchio fino alla corteccia uditiva. Vale a dire che esiste un gruppo di neuroni che si attiva proprio al tacere, alla sospensione, alla pausa.
La scoperta arriva da una serie di esperimenti condotti da uno psicologo, Michael Wehr, dell'università dell'Oregon. Finora avevamo sempre pensato che i neuroni uditivi si attivassero quando c'era qualcosa da sentire (parole, suoni, rumori) e tornassero inerti quando tutto taceva. Era logico, intuitivo. Se non c'è nulla da ascoltare, il cervello si spegne. E invece no: si accende! Proprio così. E' stata riscontrata la presenza nell'encefalo di un doppio canale. Uno per ascoltare il pieno e l'altro il vuoto, uno per sentire i suoni e l'altro per sintonizzarsi sul silenzio. Entrambi i canali hanno stessa importanza, entrambi sono sensibili, separati e indipendenti. E, mi verrebbe da dire, integrati o integrabili, tant'è vero che, solo grazie ai "neuroni del silenzio" è possibile "tagliare" il linguaggio in parole, intercalate a pause, e quindi riuscire a decodificarlo semanticamente.
Non è una sorta di patente (scientifica) di cittadinanza del silenzio?
Non come antitesi o negazione, ma come alternanza e reale integrazione comunicativa (anzi uditiva!). Si tratta davvero di un'ipotesi rivoluzionaria.
la performance più radicale
Etichette: arte, occhi, oro, silenzio
"Il mio silenzio è d'oro"
A parlare è Marina Abramovic, l'artista serba inaugura una nuova sfida al MoMa: The artist is present. 7 ore al giorno seduta a guardare negli occhi il visitatore. «Ognuno può fermarsi di fronte a me quanto vuole: tre minuti o tre ore. In silenzio», spiega. «Sarà questa la performance più radicale della mia vita».
Difficile crederle a ricordare che l'Abramovic è l'artista che a Venezia è stata tre giorni a pulire e grattare una montagna di ossa di animali sporchi di sangue e brandelli di carne. Sempre lei, in Art must be beautiful, si spazzola e pettina i capelli con entrambe le mani finché -dice "I have destroyed my hair and face". E ci sono sue performance con pitoni sulla pelle nuda, lamette, tagli, fuoco, lesioni e violazioni del suo corpo...
Eppure Abramovic spiega che reggere l'impresa del silenzio sarà più difficile di tutte le altre. Per questo si è imposta una preparazione «rigorosissima: non parlerò per tre mesi, tornerò a casa senza comunicare, senza usare il telefono».
Per saperne di più: MoMa
Da leggere: l'intervista di Maria Laura Giovagnini sul Corriere
regalo silenzioso
Etichette: conversazioni, ricordo, silenzio"Quell'uomo mi ha offerto, una sera, un bellissimo momento di silenzio. Non lo dimenticherò tanto presto. E' uno dei miei ricordi migliori dell'anno. C'è chi serba il ricordo delle sue conversazioni, io rammento quel silenzio".
Nina Berberova - da "Il Capo delle Tempeste", Guanda
spedito da lisacorva.it
se svaniscono le lingue
leggo con un po' di tristezza la notizia della morte di BOA Sr ultima "portatrice" della lingua BO delle isole andamane http://www.andamanese.net.
A pensarci bene questo, nonostante io sia taciturno di nome e di fatto, è un tipo di "silenzio" che non mi piace, forse non è neppure più silenzio, il silenzio per essere tale (o come almeno lo penso/definisco) necessita della possibilità di scelta tra rumore/suono/"presenza". Forse questo è l'oblio?
dal Corriere:
Un'altra lingua che si parlava sulla Terra è scomparsa per sempre, un altro patrimonio che non sarà più recuperabile in alcun modo, non c'è tecnologia che tenga. E questo idioma, di sicuro, era uno dei più antichi: dopo circa 65mila anni l'unica donna indigena rimasta al mondo che ancora lo conosceva era Boa Sr. Aveva circa 85 anni, ed è morta: con lei si spegne per sempre il “bo” la lingua parlata da una delle più antiche tribù del pianeta. Si stima infatti questa gente abbia vissuto nelle Isole Andamane per almeno 65mila anni. Era una delle 10 tribù di cui si componeva il popolo dei Grandi Andamanesi. «Da quando era rimasta la sola a parlare il bo - ha raccontato il linguista Anvita Abbi dell'Università di Nuova Delhi, che la conosceva da molti anni, Boa Sr si sentiva molto sola perché non aveva nessuno con cui conversare. Era comunque una donna con grande senso dell’umorismo; il suo sorriso e la sua risata fragorosa erano contagiosi». «Non potete immaginare - ha commentato il professor Abbi - il dolore e l’angoscia che ho provato ogni giorno nell’essere muto testimone della perdita di una cultura straordinaria e di una lingua unica». Boa Sr aveva detto al professor Abbi di considerare la tribù confinante dei Jarawa, che non erano stati decimati, molto fortunata per il fatto di poter continuare a vivere nella foresta, lontano dai coloni che attualmente occupano gran parte delle Isole.
LA STORIA DEGLI INDIGENI DELLE ANDAMANE - Quando i Britannici colonizzarono le Isole, nel 1858, i Grandi Andamanesi contavano almeno 5.000 persone. Ora, dopo la morte di Boa Sr, ne sopravvivono 52. La maggior parte fu uccisa dai colonizzatori o dalle malattie importate. Non riuscendo a “pacificare” le tribù con la violenza, i Britannici cercarono di “civilizzarli” catturandoli e tenendoli rinchiusi nella famigerata “Casa degli Andamani”. Dei 150 bambini nati nella Casa, nessuno ha superato l’età di due anni. Oggi, i Grandi Andamanesi sopravvissuti dipendono largamente dal governo indiano per il cibo e le case, e fra di loro è molto diffuso l’abuso di alcool. «I Grandi Andamanesi sono stati prima massacrati, e poi quasi tutti spazzati via da politiche paternalistiche che li hanno condannati a malattie epidemiche e li hanno derubati della loro terra e della loro indipendenza» ha commentato Stephen Corry, Direttore Generale di Survival International, associazione che tutela le culture dei nativi in tutto il mondo. «La perdita di Boa è un tetro monito: non dobbiamo permettere che questo accada ad altre tribù delle Isole Andamane».
LO TSUNAMI - Boa Sr, come quasi tutti gli indigeni delle Andamane, era sopravvissuta allo tsunami del 2004. «Gli anziani - aveva raccontato in quell'occasione - avevano detto che non dovevamo muoverci e che non dovevamo scappare». Nell'arcipelago gli indigeni ebbero pochissime vittime, grazie anche al fatto che molti di loro riconobbero in anticipo quello che stava accadendo, forse perché seguirono i movimenti degli animali e non si fecero trovare nei pressi della costa quando arrivarono le ondate dello tsunami. Rimangono nella memoria, a differenza della lingua di Bo, le foto nelle quali si vedono indigeni delle isole Andamane che puntano il loro arco contro barche ed elicotteri che provano ad avvicinarsi per portare aiuti.
Stefano Rodi