"Ogni cosa è un colore. Ogni emozione è un colore. Il silenzio è bianco. Il bianco è infatti un colore che non sopporto. Passare una notte in bianco, alzare bandiera bianca, lasciare il foglio bianco, avere un capello bianco... Anzi, il bianco non è neanche un colore. Non è niente, come il silenzio. Un niente senza parole e senza musica. In silenzio: in bianco. Non so rimanere in silenzio o da solo, che è lo stesso".
Sono le parole di Leo, 16 anni, protagonista del romanzo d'esordio, di cui tanto si parla e discute in questi giorni, di Alessandro D'Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori)
Perché il silenzio fa paura?
Bisogna per forza assordarsi di musica?
Non esiste davvero un codice del silenzio che parli anche a 16 anni?
Adolescenza e silenzio devono per forza tenersi alla larga?
2 commenti:
Provate a mettervi le cuffie nelle orecchie, a far partire una canzone(come Somewhere over the rainbow) e chiudete gli occhi. Vi sentirete rilassati, fuori da questo mondo caotico, in un'altra dimensione in cui avrete liberato la vostra testa da ogni pensiero e sentirete il silenzio dentro di voi. Non c'è più nulla intorno a voi,solo una musica che vi permette di ristabilire i contatti col mondo reale. Riuscire a raggiungere il silenzio senza la musica e isolarmi dal mondo lo trovo praticamente impossibile. Il silenzio è raro e crearlo è difficilissimo. Nella musica si trova un mezzo per raggiungerlo, anche se solo in parte.
Il silenzio è estraneo a noi adolescenti quanto agli adulti: siamo in un mondo in cui rumore,musica e suoni sono quotidiani e impossibili da eliminare. La musica ti isola da tutto questo e ti aiuta ad avvicinarti al vero silenzio.
Leggendo il posto mi è venuto in mente
"...
Io, con gli occhi chiusi, ci sto sempre, anche se non canto. Sono cieco, dalla nascita. Non ho mai visto una luce, un colore o un movimento.
Ascolto.
Scandaglio il silenzio che mi circonda, come uno scanner, uno di quegli apparecchi elettronici che spazzano l'etere a caccia di suoni e di voci e si sintonizzano automaticamente sulle frequenze occupate. So usarli benissimo, gli scanner, quello che ho dentro la testa da venticinque anni, fin da quando sono nato e quello che tengo in camera mia, accanto al giradischi. Se avessi degli amici, se ne avessi, di sicuro mi chiamerebbero Scanner. Mi piacerebbe.
Io di amici non ne ho. Per colpa mia. Perché non li capisco. Parlano di cose che non mi riguardano. Dicono lucido, opaco, luminoso, invisibile. Come in quella favola che mi raccontavano da bambino per farmi dormire, in cui c'era una principessa così bella e con una pelle così fine che sembrava trasparente. Ci ho messo tanto, tante notti sveglio a pensare, prima di capire che trasparente voleva dire che ci si poteva guardare dentro.
Per me significava che le dita ci passavano attaverso.
Anche i colori per me hanno un altro significato. Hanno una voce, i colori, un suono, come tutte le cose. Un rumore che li distingue e che posso riconoscere. E capire.
..."
E' il giallo Almost Blue di Carlo Lucarelli, forse l'associazione dei colori agli oggetti alle sensazioni, mi fa paragonare il contrasto tra buio e luce, colori a quello tra silenzio e rumori, suoni.
Secondo me è solo questione di imparare, non siamo più "allenati" al silenzio! (Quasi) ovunque ci troviamo non possiamo evitare suoni e rumori, e giustamente Dado dice che serve la musica per isolarsi per avvicinarsi al silenzio.
Quello che però mi chiedo è che ci serve per trovarlo o per evitarlo comunque un po'? In effetti a guardarsi (SENTIRSI!) intorno sembra prorio il silenzio faccia paura.
Però un appunto a Leo, il bianco è tutto è la fusione di ogni colore... forse abbiamo paura di scoprire troppo stando in silenzio!
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