Staccare la spina: letteralmente. Cinque scienziati americani hanno provato a vivere per un mese unplugged, senza computer, mail, telefono, nel "silenzio" dello Utah, isolati da qualsiasi collegamento hi-tech.
Sul blog del New York Times raccontano non solo l'esperienza (i più entusiasti sono David Strayer, professore di psicologia all'Università dello Utah e Paul Atchley dell'Università del Kansas. Più scettico Art Kramer, dell'Università dell'Illinois), ma i cambiamenti che avvengono nel cervello e nei sensi, tagliando tutti i ponti con le abitudini digitali.
Ne è nato un dibattito fra agli autoreclusi dello Utah e un piccolo campione di detecnologizzati volontari, invitati dal giornale a vivere per un po' senza rete (i video con i loro racconti sono molto divertenti).
Dis-connettersi, mettere a tacere i contatti virtuali, regala indubbiamente più tempo e molti vuoti. Ma questo vuoto è interstizio mentale, spazio (e respiro vitale) FRA i pensieri? E' solo un contenitore che improvvisamente (e forzatamente, per prova, per sfida, per esperimento e per un tempo limitato) si svuota o diventa anche, quasi inconsciamente o almeno involontariamente, contenuto soggettivo? E lascia una traccia (nel cervello, non nelle abitudini di vita. Quelle è ovvio, per un po', finché dura la prova, cambiano) oppure no?
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