Adotta una parola perché non cada nel silenzio

. domenica 18 settembre 2011
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Da clangore a edule il web adotta le parole perdute
Su internet aumentano i custodi dei vocabili "in via d'estinzione". Così Facebook diventa il luogo virtuale dove rilanciare la lingua
di STEFANIA PARMEGGIANI
da Repubblica 14settembre 2011

S'incontrano tra le pagine di un libro. Affascinano per la precisione del significato, ma a renderle preziose è il velo di polvere che le ricopre. Sono le parole smarrite, desuete, in via di estinzione. Se i più non se ne curano, altri decidono di adottarle per restituirgli un futuro: i custodi delle parole dimenticate, linguisti, scrittori e insegnanti, ma anche studenti, avvocati, ingegneri. Persone di età e professioni differenti che in Italia, sulla scia di quello che accade in altri paesi europei, combattono dal basso una battaglia per la salvaguardia della lingua d'origine.

Così come accade con i seed saver - i salvatori dei semi antichi che tramandano la biodiversità - i custodi che incontrano una parola dimenticata la raccolgono e la depositano sul web. Un atto di adozione, l'impegno a farla cadere apparentemente per caso in una conversazione tra colleghi e amici con la speranza di strapparla a una vita solo di carta. "Non abbiamo la pretesa di salvare l'italiano, ma vogliamo dare il nostro piccolo contributo", spiega Lea Barzani, fondatrice del gruppo Facebook "Adotta una parola". "Quanti sono i termini che incontriamo in un libro e vorremmo fare nostri? Invece di annotarli su un taccuino, proviamo a congelarne l'esistenza su Internet e magari a inserirli nelle nostre conversazioni".

Riemergono così, dalla penna e dalla voce dei circa 300 iscritti, sostantivi come obnubilamento, clangore e baciapile. Di gruppi simili Facebook ne conta almeno una dozzina. Il più numeroso - 1000 iscritti - è nato all'indomani dell'appello di Zapatero ai suoi connazionali perché smettessero di "sporcare" lo spagnolo infarcendolo di inglesismi. I custodi non si limitano a utilizzare i social network, ma creano "oasi di protezione linguistica" sul modello del sito "save the words" dell'Oxford University Press. Matteo Corcioni, 26 anni e un futuro da avvocato, insieme all'amico Stefano Avesani, ingegnere ambientale, ha creato il blog "vocabolario delle parole desuete". "Ogni volta che un vocabolo viene dimenticato - spiega Corcioni - lascia un vuoto nella nostra capacità di rappresentare il mondo. Chi legge il blog è invitato a contribuire ampliando la scelta e utilizzando le voci che più lo colpiscono". Dalla A di abbacinare alla V di veruno, il progetto è in costante evoluzione. Sempre online troviamo il "dizionario delle parole perdute" aggiornato in collaborazione con la Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari. Lo scopo è identico a quello che aleggia nei corridoi (virtuali) dell'"ufficio resurrezione parole smarrite", fondato da una creativa pubblicitaria, Sabrina D'Alessandro, che è anche autrice de "Il libro delle parole altrimenti smarrite" (Rizzoli).

L'obiettivo è di resuscitare termini come salapuzio, uomo piccolo di statura e con una grande considerazione di sé. Tra i custodi delle parole non mancano le case editrici. In prima fila la Zanichelli che da qualche anno completa il dizionario Zingarelli con un elenco di vocaboli da salvare. Nel 2012 saranno 2.953, 150 in più del 2011. "Abbiamo affinato l'elenco - spiega Lorenzo Enriques, uno degli amministratori delegati - aggiungendo termini come alacrità, belluino, crasso... Altri li abbiamo cancellati o perché frutto di una errata valutazione, come nicchia, o perché definitivamente entrati nell'italiano letterario come indarno". Le parole da salvare diventano anche parole del giorno, inviate ogni mattina a chi ne fa richiesta: "Sono pillole lessicali", un contributo alla salvaguardia di una lingua sempre più povera, ridotta nel suo utilizzo di base, a meno di 7000 termini.

Il telecomando del silenzio

. sabato 17 settembre 2011
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Il mio telecomando contro gli antipatici
Dai divi tv ai politici, i dieci «inascoltabili»
Un dispositivo li esclude in automatico? Politici e showgirl, ecco chi silenzierei
Di Aldo Grasso

A Brooklyn un tizio che si chiama Matt Richardson ha inventato (oggi lo porterà alla Maker Faire degli inventori di New York) il telecomando silenziatore fai-da-te che di fatto mette a tacere i personaggi della tv ritenuti antipatici. La sua lista degli imbavagliati va da Sarah Palin a Paris Hilton, da Donald Trump a Kim Kardashian. Il telecomando, una volta impostato, riconosce la voce antipatica e le chiude la bocca (per ora per 30 secondi).
È un telecomando dall'udito finissimo che prende nota delle stupidaggini origliate e impone il silenzio.
Immagino che ognuno di noi abbia la sua lista di inascoltabili, un piccolo elenco da sacrificare sull'altare del gioco, un ombrello che ci protegge dalle piogge acide di parole che ogni giorno il televisore riversa dal piccolo schermo. Se mi accingo a compilare questa piccola, personale Silence List (in ordine alfabetico) è solo perché il silenziato ha qualcosa di letterario che lo rende amorevole e insieme patetico, un predestinato al sacrificio.
Funzione del sacrificio è appunto quella di placare le violenze intestine, impedire la conflittualità casalinga, immolando uno solo per tutti.

Renzo Bossi Detto il Trota.
Non è elegante prendersela con i bambini, ma lui ormai è un affermato dirigente politico che, secondo i sacri dettami della Lega, si è fatto strada da solo. Lo silenzierei solo per lo scempio che fa della grammatica.

Daniele Capezzone
Ex radicale, interviene a ogni piè sospinto in qualità di portavoce di Forza Italia. Sempre con asprezza, con un'arietta tagliente che non ammette repliche, con la violenza assordante del convertito.

Massimo D'Alema
È il politico italiano che più di ogni altro ama farsi odiare. Sempre altezzoso, sempre indisponente anche quando ha ragione. Il tono della sua voce è così sprezzante che merita un cordiale switch off.
Barbara D'Urso Nostra Signora del Trash meriterebbe un anno sabatico di silenzio assoluto. Nessuna banalità la trattiene, nessun caso umano la impietosisce: nel suo salotto il tema della discussione è indifferente, l'importante è farsi notare.

Maurizio Gasparri
La logorrea gli fa un baffo. È diventato famoso con una legge che porta il suo nome ed è la prima volta che una legge un po' si vergogna. Spegnerei lui ma lascerei libertà di parola all'imitazione di Neri Marcorè.

Massimo Giletti
Scuola Minoli, ha quell'ipocrisia di far credere allo spettatore di stare affrontando un problema fondamentale per la vita del paese, sapendo bene che non c'è alcun bisogno di credere a una verità per sostenerla.

Niccolò Ghedini
L'onorevole Niccolò Mavaà Ghedini è sempre in tv a difendere il premier. Questa la sua attività principale, oltre quella di riequilibrare le presenze in studio di sinistra. Quando parla del suo capo è come se sentisse le voci. Per questo è meglio attenuare la sua.

Beppe Grillo
Con la sua voce sgradevole si è specializzato nel monologo, tendenza invettiva. Anzi, nel soliloquio. È uno che di mestiere fa l'antipatico per attirarsi le simpatie.

Pino Insegno
Quando faceva il comico non è mai riuscito a far ridere alcuno. Il suo modo romanesco di fare tv rispecchia il conformismo che regna nella tv generalista.

Massimo Mauro
È l'unico per cui non ho bisogno del telecomando di Mr Richardson. Come lo sento cambio canale. Avesse un'idea, la sapesse esprimere! Non basta aver fatto il presidente del Genoa e aver giocato con Platini, Zico e Maradona per essere all'altezza del discorso.

Aldo Grasso
Pubblicato sul Corriere 17 settembre 2011

Silenzio a Ground Zero

. lunedì 12 settembre 2011
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NEW YORK - Ground Zero è finalmente piena. Il vuoto di quel luogo che spaventava gli americani, il vuoto che andavano a vedere i turisti, era quello il monumento più doloroso da sopportare. Silenzio e vuoto nel luogo di New York dove non esiste silenzio e dove non esistono vuoti. Quel luogo, la Zona Zero appunto, nel cuore di Manhattan, per dieci anni è rimasto vuoto. E da ogni parte d'America sono arrivati in migliaia per colmare quel vuoto. Colmarlo con la presenza. E due vasche costruite nel perimetro delle radici dei grattacieli sono lì ma non si sostituiscono alla presenza dei colossi.

Nessuno vuole che le cose tornino come prima, perché il rischio è di dimenticare. Never Forget è scritto ovunque. Per arrivare a Ground Zero devi superare diversi check point. La città ne è disseminata. Tutti in fila, spesso per lungo tempo, si lasciano perquisire. Non c'è nervosismo, ma desiderio di far andare bene le cose. Compostezza, disciplina. Gli americani sono qui per mostrare che non hanno paura, anche se Bloomberg, il sindaco di New York, aveva allertato in una conferenza stampa che il rischio di un attentato era "una minaccia credibile".
La commemorazione è scandita dai minuti di silenzio che ricordano il primo aereo schiantatosi contro le torri, poi il secondo, poi l'attentato al Pentagono, e l'aereo precipitato in un campo in Pennsylvania, e ancora un minuto per ogni crollo delle torri. Il silenzio di migliaia di persone riporta al vuoto. Migliaia di teste, migliaia di corpi in silenzio.

Ero arrivato qui con il pregiudizio che fosse una parata nazionalistica, certo che nessuno avrebbe evitato il rischio di cadere nella retorica, e si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di trovare nuova linfa a un consenso che la crisi economica e finanziaria ha ormai profondamente compromesso. Non è stato così. Mi stupisce l'intervento dei presidenti. Di Barack Obama e dell'ex presidente George W. Bush. Obama legge alcuni estratti del salmo 46 della Bibbia, Bush legge la lettera di risposta di Abraham Lincoln a una vedova della guerra civile. Poi si defilano, coperti da un vetro antiproiettile, che è lì come a tracciare le nuove bibliografie visive che dopo l'11 settembre hanno cambiato il mondo. Parlare dietro un vetro, avere una scorta di oltre 11 auto, cecchini disseminati sui grattacieli. Ma non si attendono parole d'ordine, non vengono pronunciati discorsi alla nazione. Tutta l'attenzione è per il ricordo delle vittime. Le istituzioni fanno un passo indietro. Non ci sono comizi. Nessuno ricorda la propria politica di risposta a quell'attacco, Barack Obama non approfitta dell'occasione per rinvigorire i suoi elettori prossimi a quella che racconteremo come la nuova Grande Depressione, e che nessuno più ormai definisce soltanto crisi. Hai la sensazione che nonostante le molteplici contraddizioni che vive questo Paese, gli Usa abbiano ancora chiaro un elemento: che le istituzioni, l'economia, la difesa, il lavoro, tutto è dato dalle persone. Nozione che solo apparentemente è scontata. Le persone non sono annullate nel ruolo simbolico e superiore dell'istituzione. È l'individuo il centro. È questo fondamento che genera per noi europei spesso anche grande smarrimento, abituati come siamo a lacci sociali e paracaduti familiari assai più forti.

La giornata è per le persone cadute. Per loro. Non solo per l'eroismo dei firefighters. Perse le persone, persa ogni cosa. E la cerimonia ha celebrato questo. Ancor prima che l'attacco agli Usa, al simbolo dell'economica mondiale, il World Trade Center, è una cerimonia per ricordare le persone. I portieri, le segretarie, le guardie giurate, i lavavetri. Sarebbe bello se le nazioni potessero apprendere da questa giornata. Se i media del mondo potessero ritrovarsi a raccontare il ricordo non solo di questa tragedia nella capitale del mondo: New York, ma anche il colpo di Stato della destra nazionalista cilena  -  avvenuto un altro 11 settembre, quello del 1973 - che portò alla destituzione del Presidente Salvador Allende e alla successiva dittatura militare di Pinochet, o le vittime di mafia.

Citare i nomi sembra quasi come realizzare la massima kantiana "l'uomo come fine e mai come mezzo". L'imperativo categorico che tanto astratto pare quando lo si incontra nelle pagine della Ragion Pura e tanto concreto appare qui, ascoltando queste infinite letture di nomi. Non ridurre tutto a un numero 2977. Il rischio è che la statistica, il numero riduca tutto. Sono cifre che col tempo ti sembrano persino piccole. Cifre che ci si abitua ad ascoltare. Cifre appunto. Le commemorazioni servono, credo, quando non sono un vacuo evento mediatico per acquistare consensi, ma per strappare da quei numeri la carne, la memoria, il ricordo, il dolore, la condivisione di una vita che è stata e spesso continua.

Quel lungo elenco di nomi letti dai parenti delle vittime, che quando arrivavano al nome del loro caro, dedicavano una frase, un ricordo. Tantissimi I miss you. Molti bambini che all'epoca erano neonati. E che raccontano di un padre mai conosciuto o di una madre appena ricordata, morti nell'attentato.
Mentre ascolto sento parlare in italiano: è la signora Dorotea Angilletta. Ricorda in lacrime sua figlia Laura. Pronuncia il nome e il cognome di sua figlia con l'accento americano "Lora Angileda" eppure quando si rivolge a lei, all'amata figlia scomparsa, le parla in italiano. La lingua che usa per dire le cose importanti, per far parlare i sentimenti: "Laura ti voglio tanto bene. Sarai sempre nel mio cuore".
Per qualche strana ragione proprio noi l'avevamo trascurato. Proprio noi italiani avevamo trascurato la presenza di decine e decine e ancora decine di italoamericani. Se ne era fatto cenno qualche volta, ma senza mai dare centralità alla cosa. Le parole della signora Angilletta sollecitano l'attenzione ad ascoltare i nomi letti. Centinaia di nomi italiani. Figli di italiani, nipoti di italiani, discendenti di italiani. Nomi meridionali: Esposito, Spampinato, Cammarata, Amato, Calabro, Cafiero, Ciccone, Curatolo, Coppola, Bocchino, Morabito sono solo alcuni dei nomi degli italoamericani morti qui. E poi parlano due politici americani nipoti di italiani Andrew Cuomo (figlio di Mario Cuomo) il governatore dello stato di NY, originario di Nocera Inferiore, la cui nonna parlava solo napoletano e non imparò mai l'inglese, e Rudy Giuliani.

Eppure questo legame non è abbastanza forte, all'interno il dibattito sulla tragedia delle Torri Gemelle è sempre stato un elemento marginale. Una sorta di rimozione. Gli italiani d'America, considerati americani per gli italiani ma italiani sin nel midollo per molti di loro. Una distanza nata dalla diffidenza italiana per i nipoti e cugini italoamericani diventati troppo potenti e dalla diffidenza italoamericana per una terra matrigna che aveva scacciato i loro genitori, nonni, antenati. E tutto si chiude con le note di Paul Simon, che canta un pezzo immortale, The Sound of Silence, che sembra scritto per l'occasione. E cala il silenzio.

And in the naked light I saw, ten thousand people, maybe more. People talking without speaking, people hearing without listening, people writing songs that voices never share. And no one dare disturb the sound of silence. E nella luce nuda vidi migliaia di persone, forse di più. Persone che parlavano senza parlare, persone che ascoltavano senza ascoltare, persone che scrivevano canzoni che nessuna voce avrebbe mai cantato. E nessuno osava disturbare il suono del silenzio.

Dall'articolo di Roberto Saviano su Repubblica, 12 settembre 2011

silenzio e musica

. martedì 6 settembre 2011
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Una bella iniziativa dedicata al silenzio e alla musica, in Svizzera, il 9 e 10 settembre, organizzata dal Teatro del tempo

La Via Lattea 8 – Secondo Movimento
Il silenzio prima di Bach (e dopo Cage)

Dopo un Preludio notturno a Chiasso con il film che indica la via – Die Stille vor Bach del catalano Pere Portabella – una Fuga a due gambe in Valle di Muggio per ascoltare un altro Bach, nostro contemporaneo. Da mattina a sera, alla ricerca del silenzio perduto.

Francesco Dillon, violoncello / Claudio Jacomucci, fisarmonica / Lorenzo Lio, flauto dolce / Emiliano Turazzi, flauto dolce / Federica Valli, Tangentenflügel / Marino Cattaneo, studioso dell’ambiente / Ivano Proserpi, storico dell’arte / Daniele Garbuglia, scrittore
Mario Pagliarani, ideazione e regia

E in attesa del Preludio, un assaggio del film Die Stille vor Bach:

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per le cartoline del silenzio:
Due mani non bastano (www.duemaninonbastano.it)
Studio Camuffo (www.studiocamuffo.com)
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Civico 13 (www.civico13.it)
Happycentro+sintetik (www.hs-studio.it)
Signaletic (www.signaletic.it)
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Joe Velluto (www.joevelluto.it)
Elyron (www.elyron.it)