La previsione più catastrofica è del linguista americano John McWhorter: «Tempo
cent’anni e il 90% delle lingue sulla Terra potrebbe essere estinto. Nel 2115 ne avremo
circa 600».
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Perdiamo le parole
Una stima estrema, forse una provocazione, ma che parla di un problema vero: il mondo
sta perdendo le parole. La varietà di idiomi e dialetti globali si sta consumando proprio
come la biodiversità naturale. Anzi, ancora più in fretta. Già oggi le lingue in difficoltà,
quelle che rischiano di sparire, sono tra 2400 e 3 mila nel mondo. Ed è per questo che
sabato prossimo, come ogni 21 febbraio, tornerà la giornata internazionale Unesco per la
lingua madre.
Un’iniziativa che questa volta avrà anche una dimensione digitale. Tra i progetti collegati
alla giornata ce n’è uno – chiamato «Tweet in your #MotherLanguage» – che suggerisce
di usare i social network, e in particolare Twitter, per il compito di proteggere le lingue in
pericolo. La proposta è questa: almeno per un giorno, niente cinguettii e messaggi nel
solito inglese. Ognuno usi la Rete per scrivere nel proprio idioma nativo, mettendo alla fine
un hashtag con il nome della lingua (ad esempio #arbëreshë) e contribuendo così a farlo
girare.
Proprio l’egemonia dell’inglese come lingua internazionale e della modernità è tra i grandi
nemici della varietà linguistica. Basti pensare che l’italiano – che oggi di certo non si può
definire a rischio – figura solo nell’1,8% dei siti Internet globali. Il 55% del web è invece in
inglese. E ci sono lingue nazionali come sloveno, serbo, croato, ucraino che raggiungono
a malapena quota 0,1%. Gocce minuscole nell’anglofono mare digitale.
La colonizzazione
«In questa fase storica non c’è dubbio: l’inglese è una lingua colonizzatrice, che negli
ultimi 40 anni si è espansa e si sta ancora espandendo». A spiegarlo è Cristina
Guardiano, linguista dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Che precisa: «Ad essere a
rischio non sono le lingue ufficiali e che s’insegnano nelle scuole, ma quelle che hanno
perso vitalità. Quelle legate a comunità che si stanno estinguendo o dove nascono
bambini che non le imparano più come prima lingua».
Nelle Americhe
I problemi maggiori sono nelle due Americhe, dove ad essere «moribonde» o «dormienti»
– per seguire la definizione dell’osservatorio Ethnologue – sono 335 lingue su 1060. Idiomi
indigeni come l’Irántxe, parlato in Brasile da meno di 40 persone. E altri arrivati a quota
zero, forse svaniti. «In questi e altri casi – prosegue Guardiano – è difficile pensare a un
antidoto. Riportare artificialmente in vita una lingua che si avvia ad essere dimenticata ha
poco senso. Molti studiosi credono in operazioni di questo tipo, ma le lingue sono
organismi naturali: la loro evoluzione non si può forzare».
L'articolo è scritto da Stefano Rizzato - La Stampa, 17 febbraio 2015
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