Quanto sono importanti le parole? In Francia il professor Bernard Fripiat, oltre ad aver fondato un sito (www.orthogaffe.com), tutti i sabati si esibisce su un palco con la prima “commedia ortografica” del teatro francese: un tentativo di salvare la correttezza e la varietà linguistica, giocando con gli errori più grossolani e comuni, e ridendoci su per meglio fissare nella memoria regole e strafalcioni da evitare. Intanto a Parigi il salone del libro è appena stato inaugurato con una gara di dettato, come se lo sforzo agonistico potesse riaccendere l’attenzione su grafemi e fonemi. La ricchezza della lingua si sta estinguendo?
Perdere la complessità espressiva è una condanna al mutismo del pensiero, la banalizzazione del dire è l’opposto del silenzio riflessivo su cui prolifera la vivacità semantica e l’espressione di sé.
Va letto, o riletto, in questa chiave il libro di Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole (Rizzoli). “La scelta delle parole è un atto cruciale e fondativo”, scrive. Un’azione che è insieme selettiva e creativa: si dà voce a una e una sola parola e si mettono a tacere tutte le altre possibili, non perfettamente aderenti alla natura esatta del pensiero o della cosa espressa. Perché come diceva il citato T.S. Eliot:
“E ogni frase
e sentenza che sia giusta (dove
ogni parola è a casa…
la comune
parola esatta senza volgarità, la formale
parola precisa ma non pedante
perfetta consorte unita in una danza
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