il silenzio di internet

. mercoledì 15 settembre 2010
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Staccare la spina: letteralmente. Cinque scienziati americani hanno provato a vivere per un mese unplugged, senza computer, mail, telefono, nel "silenzio" dello Utah, isolati da qualsiasi collegamento hi-tech.
Sul blog del New York Times raccontano non solo l'esperienza (i più entusiasti sono David Strayer, professore di psicologia all'Università dello Utah e Paul Atchley dell'Università del Kansas. Più scettico Art Kramer, dell'Università dell'Illinois), ma i cambiamenti che avvengono nel cervello e nei sensi, tagliando tutti i ponti con le abitudini digitali.
Ne è nato un dibattito fra agli autoreclusi dello Utah e un piccolo campione di detecnologizzati volontari, invitati dal giornale a vivere per un po' senza rete (i video con i loro racconti sono molto divertenti).
Dis-connettersi, mettere a tacere i contatti virtuali, regala indubbiamente più tempo e molti vuoti. Ma questo vuoto è interstizio mentale, spazio (e respiro vitale) FRA i pensieri? E' solo un contenitore che improvvisamente (e forzatamente, per prova, per sfida, per esperimento e per un tempo limitato) si svuota o diventa anche, quasi inconsciamente o almeno involontariamente, contenuto soggettivo? E lascia una traccia (nel cervello, non nelle abitudini di vita. Quelle è ovvio, per un po', finché dura la prova, cambiano) oppure no?

Il silenzio dell'india

. martedì 7 settembre 2010
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"Il motore ha taciuto e si è acceso il silenzio. Si è proprio acceso, perché un silenzio così silenzioso non l'avevo mai sentito. Mai. Nemmeno nella piu fonda delle campagne di casa mia, nemmeno sulla cima delle montagne coperte di neve. Quello è comunque un silenzio domestico, umano. Questo della giungla è animale". Dal bel libro di Sandra Petrignani "Ultima India" una citazione da Simone Weil: "Ci sono vari gradi di silenzio, esiste un silenzio nella bellezza dell'universo che è rumore in confronto al silenzio di Dio"

Dove abita il silenzio

. martedì 17 agosto 2010
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Dal Messaggero di Sant'Antonio la segnalazione di un convegno di approfondimento:

Un convegno organizzato dal 3 al 4 settembre dalla comunità francescana di Sanzeno (TN), per scoprire insieme le dimensioni del silenzio e il suo intimo legame con la nostra più profonda umanità. (di fra Fabio Scarsato)

Il silenzio è «d’oro» quando crea ascolto, pace, comunione; è «figlio del diavolo» quando copre, isola, condanna. C’è il silenzio della spiritualità e della preghiera, e quello dei codardi e dei colpevoli; quello del rispetto e quello del tradimento; quello da cercare e quello da infrangere.

La duplice faccia del silenzio è il tema di «Rompere il silenzio! Tra Grande silenzio e silenzi colpevoli», quarto convegno organizzato, dal 3 al 4 settembre 2010, dalla fraternità francescana di Sanzeno (TN) in Val di Non, nella suggestiva cornice di Casa de’ Gentili, un palazzo nobile del ’500, a pochi chilometri da uno splendido santuario del silenzio, l’Eremo di San Romedio. Perché scegliere un tale tema in una società che vive quotidianamente in un rumore assordante e nello stesso tempo copre con un silenzio altrettanto assordante tutto ciò che non vuol sentire né vedere? Perché nella distinzione tra silenzio e silenzio ci giochiamo la nostra umanità. Il silenzio in cui scegliamo di abitare è ciò che ci distingue.
La dualità silenzio-parola inizia fin da piccoli. I genitori aspettano trepidanti i primi incomprensibili suoni gutturali del pargolo, faticano a insegnargli ogni parola, salvo poi passare la vita a imporgli di stare zitto, magari con un dito minaccioso sulle labbra o un urlo a squarciagola, in barba alla coerenza educativa. Eppure, forse proprio dalla rottura del silenzio o, meglio, dalla dinamica complessa di parola e silenzio è iniziata la nostra umanità. Chiamarsi, raccontare, condividere, cantare e pregare insieme, domandare e rispondere: quante esperienze fondamentali sorgono dalla parola. Rainer Maria Rilke, il grande poeta austriaco-boemo, alludendo al racconto biblico della creazione, suggeriva che gli esseri umani sono venuti al mondo perché Dio dall’eternità stava aspettando che qualcuno desse un nome alle sue creature e che chiamandole per nome le riconoscesse e le facesse esistere. Anche noi esistiamo se qualcuno che ci ama rompe il silenzio e ci chiama per nome.

E tuttavia, gli uomini hanno cominciato a essere un pochino meno uomini quando la parola ha preso il sopravvento ed è diventata urlo, pregiudizio, attacco, insulto, slogan, muro. Non c’era più silenzio tra le nostre parole sempre più ingombranti, ipertrofiche, escludenti; gusci vuoti e seducenti nelle mani del potere. «Mio», «negro», «vendetta» non erano più le sillabe della creazione. Ed è stata la torre di Babele, anche questa di biblica memoria. Confusione di lingue, cimitero di parole: da qui è rinata la nostalgia del silenzio.

È paradossale il silenzio: per parlarne bisogna romperlo. E invece, per ascoltarlo, bisogna che tutto, attorno e dentro noi, taccia. È sfuggente come un’anguilla il silenzio, ma senza di esso, sapientemente dosato, la Nona di Beethoven non sarebbe mai stata composta: è lui che mette in fila le note o le parole, che dal caos crea l’armonia dei suoni. Al punto che non sappiamo dire se sono la parola e il suono a interrompere il silenzio, o è il silenzio a interrompere i suoni.

Il silenzio, componente profonda di ogni uomo, diventa fondamento per chi vive di spiritualità. Il silenzio delle religioni – in alcuni luoghi o tradizioni persino rigido – non è solo orpello esterno, è sostanza impalpabile. È un «grande» silenzio. Ti assale di colpo quando varchi il portone di un monastero benedettino o la più umile porticina di un eremo francescano della Valle Reatina: ti sorprende, inizialmente ti atterrisce; di colpo speri che almeno il telefonino ti venga in soccorso. Poi pian piano ti accorgi che quel nulla è l’inizio, l’ansia si placa e, come accade agli occhi che si abituano gradualmente a vedere nel buio, finalmente tu percepisci il silenzio, lo senti dentro e intorno a te. L’imbarazzo cessa, mentre correnti profonde di relazione e comunione solcano mente e corpo. Ti accorgi che è un silenzio «fragoroso», abitato da mille voci. O forse da una sola: quella di Dio. Ti rimarrà dentro per sempre la nostalgia di un tale silenzio.

È un attimo, un incontro, un’illuminazione ma adesso è chiaro: quel grande silenzio è l’espressione più alta del bisogno di silenzio che alberga in ogni uomo. Lo sappiamo d’istinto ma non ci riflettiamo. Eppure la voglia di «staccare la spina», di ascoltare il rumore del vento, di sostare assorti sulla riva del mare sono echi di quel silenzio. A nulla valgono, per trovar pace, quell’infinità di «protesi sonore» (microfoni, altoparlanti, stereo, cuffiette, ipod, suonerie), che ci siamo inventati.

Ma il silenzio non è solo pace, ci sono luoghi in cui stona, è rumoroso, fuori luogo, persino colpevole. È un’arma a doppio taglio. C’è chi lo usa per «coprire» situazioni e storie scomode, per cancellare fatti e peccati, per aggiungere violenza a violenza, per giustificare vizi e inadempienze del potere, per poter dire «io non c’entro, io non lo sapevo».

Proprio da qui, da questa duplice faccia del silenzio, è nato il tema del nostro quarto convegno a Sanzeno. Il nostro approccio è volutamente interdisciplinare ed ecumenico, partendo dal presupposto francescano che non c’è nulla di autenticamente umano che non sia subito del tutto spirituale, e viceversa. Il nostro sogno non è solo quello di scandagliare le molteplici dimensioni del silenzio, ma quello di renderlo la lingua comune dell’umanità, il luogo dell’essere, la dimensione della fraternità. A differenza di ogni altra lingua non ha bisogno di traduzioni e traduttori, è uguale a tutte le latitudini, non cambia con il cambiare della cultura. E se proprio a un certo punto esso deve «essere rotto», che lo si faccia unicamente per incontrare i fratelli e le sorelle. Solo da questo silenzio le tante lingue e le tante culture non causeranno più alcuna Babele.

Il programma qui

chi abita a clusane?

. lunedì 9 agosto 2010
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Pare sia il paese più silenzioso d'Italia, almeno secondo una ricerca nazionale dell’università La Sapienza di Roma, riportata da IoDonna: "Clusane (Brescia), paese di pescatori e di monasteri, affacciato sul lago d’iseo al riparo da verdi canneti..."
E quali sono i secondi e terzi classificati di questa hit al contrario?
Da quali luoghi è composta la top ten dei silenzi?
Come si fa a sintonizzarsi?
Se qualche silenzioso abitante di clusane ci legge, ci scriva!

il silenzio ondulato

. martedì 3 agosto 2010
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com'è il silenzio? credo che federico garcìa lorca abbia trovato una perfetta definizione. leggetela in questa sua poesia:

Oye, hijo mío, el silencio.
Es un silencio ondulado,
un silencio,
donde resbalan valles y ecos
 
Senti, figlio mio, il silenzio.
E’ un silenzio ondulato,
un silenzio,
dove scivolano valli ed echi.

 

Federico García Lorca

il silenzio è ondulato, perché aiuta a trovare emozioni. 
è ondulato perché è "pieno". 
è ondulato perché trasmette sensazioni: aiuta ad ascoltarti
è ondulato perché è lì che scivolano le valli della tua vita e gli echi delle voci di chi hai incontrato

dire e non dire

. venerdì 30 luglio 2010
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Una bella riflessione che arriva da un libro di Stefano Bolognini, sul silenzio fecondo e “maieutico”. Il titolo è già un capolavoro: Lo Zen e l’arte di non sapere cosa dire (Bollati Boringhieri). Scrive lo psicoanalista: «Non si sa che dire vuol dire che verrebbero in mente delle cose da dire, ma che si sente o si capisce che quelle cose lì non sono adeguate, non sono sufficienti, non bastano, non risolvono, non smuovono, non raggiungono, spesso non sfiorano nemmeno la complessità, la profondità, il senso di ciò che si è presentato sulla scena del discorso: tanto più se si tratta di un discorso condiviso, che dovrebbe funzionare significativamente per chi parla e per chi ascolta.
E allora ci si ferma, sull’orlo dell’abisso.
E non si dice.
(…)
Di solito, se si hanno la pazienza e l’umiltà di attendere – senza pretendere di saper già cosa dire, subito e comunque – le cose un po’ alla volta si collegano, si chiariscono, si combinano, si trasformano, assumono un’evidenza e un senso.
Allora, e solo allora, si sa che cosa dire.

una definizione

. martedì 13 luglio 2010
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ho letto a Pennabilli,da qualche parte, una definizione di Tonino Guerra, anche nel suol amato dialetto:
il silenzio è una bomba che ti scoppia nel cervello.

il paradosso del silenzio

. lunedì 5 luglio 2010
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Che cosa c'entra l'elogio della contraddizione con il silenzio? Leggo Salman Rushdie (il testo che presenterà il 10 luglio alla Milanesiana) e la sua difesa del paradosso è un richiamo al chiaroscuro, a quello spazio interstiziale fra bianco e nero, sì e no, dire e non dire, che il silenzio occupa dialetticamente e senza prendere spazio. Il silenzio è e non è, contemporaneamente buono e cattivo, vuoto o pieno, assenza e presenza, strumento, mezzo e fine, ma anche omissione volontaria, base di quel "nel pensier mi fingo" da cui nasce tutta la poesia e la letteratura.
Per questo mi piace riportare almeno qualche riga della riflessione di Rushdie:
La letteratura non ha mai perso di vista ciò che il nostro rissoso mondo cerca di costringerci a dimenticare. La letteratura si pasce della contraddizione, e nei romanzi e nelle poesie noi cantiamo la nostra complessità umana, la nostra capacità di essere, simultaneamente, sia sì che no, sia questo che quello, senza avvertire il minimo disagio. L'equivalente arabo dell'espressione "c'era una volta" è "kan ma kan" che tradotto significa: "Era così, non era così". Questo grande paradosso è alla base di tutte le opere di narrativa. La narrativa è esattamente quel luogo in cui le cose sono così e non sono così, in cui esistono mondi in cui crediamo profondamente pur sapendo che non esistono, non sono mai esistiti e mai esisteranno. E questa bella complicazione non è mai stata tanto importante quanto nella nostra epoca di eccessiva semplificazione"

poesia e silenzio

. venerdì 2 luglio 2010
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Grazie ad Alessandro Quasimodo e Alessandro Cei e al loro spettacolo "Potessero le mie mani sfogliare la luna", ho riascoltato (e riscoperto) un frammento teso fra dire e non dire

...e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perchè la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici,
sì che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

(La sera fiesolana, Gabriele D'Annunzio)

ridare voce ai suoni scomparsi!

. mercoledì 23 giugno 2010
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sembra un gioco di parole, ma effettivamente è una cosa seria, non ci si pensa, ma spesso come era già stato fatto notare in un precedente intervento "se svaniscono le lingue" assistiamo alla scomparsa di "cose" che non potremo più ascoltare. A volte queste cose le scopriamo, non ne eravamo a conoscenza ma la nostra curiosità ci porta a scoprirle, mute. Chi non ha mai pensato che rumori/suoni si potrebbero ascoltare immergendosi in un giorno della preistoria, o più banalmente di un passato non troppo remoto?
C'è un progetto interessante che cerca di dare risposta (suono) a questa curiosità dell'orecchio, che è del nostro cervello! Si chiama ASTRA Ancient instruments Sound/Timbre Reconstruction Application e ci ha già permesso di riscoprire il suono dell'epigòneion (i grecisti sapranno di cosa si parla!) un'antica arpa greca.
Alla Casa del Suono a Parma, la possiamo RItrovare con la sua voce recuperata dal passato.



Una sfida lanciata dal silenzio e raccolta (e forse vinta?) proprio grazie al mistero e al fascino di quello che ci manca

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